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Postilla » Diritto » Il Blog di Guido Scorza » privacy » Google – Vividown: ecco le motivazioni

13 aprile 2010

Google – Vividown: ecco le motivazioni

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Sono state depositate ieri mattina le motivazioni della Sentenza con la quale, come è ormai noto, il Tribunale di Milano ha condannato ex art. 167 Codice Privacy quattro top manager di Google Italy.

Come ho già scritto, ritengo, che la Sentenza deluda ampiamente le aspettative degli addetti ai lavori per lo scarso contenuto tecnico giuridico.

Il Giudice, infatti, ha, nella sostanza, lasciato inevase le molte e complesse questioni che avevano appassionato gli addetti ai lavori all’indomani della pubblicazione del dispositivo: è applicabile la legge italiana in materia di Privacy ad un trattamento di dati personali che appare interamente svolto all’estero da un soggetto straniero? Google, in relazione al servizio google-video può essere considerato un intermediario della comunicazione con conseguente applicabilità della disciplina sul commercio elettronico?

google-vividown

Google Italy, secondo il Giudice, sarebbe, in buona sostanza, responsabile di violazione della disciplina sulla privacy perché – nell’ambito di un’attività svolta con finalità lucrativa – non avrebbe avvertito in maniera sufficientemente chiara la ragazzina che ha caricato online il video della necessità di prestare attenzione al rispetto della privacy del protagonista – specie perché disabile – del proprio video.

Scrive, infatti, il Giudice a pag. 96 della propria Sentenza che “NON (n.d.r. le maiuscole sono del magistrato) costituisce condotta sufficiente ai fini che le legge impone, ‘nascondere’ le informazioni sugli obblighi derivanti dal rispetto della legge sulla privacy all’interno di ‘condizioni generali di servizio’ il cui contenuto appare spesso incomprensibile, sia per il tenore delle stesse che per le modalità con le quali vengono sottoposte all’accettazione dell’utente” ed aggiunge che “tale comportamento, improntato ad esigenze di minimalismo contrattuale e di scarsa volontà comunicativa, costituisce una specie di ‘precostituzione di alibi’ da parte del soggetto/web e non esclude, quindi, una valutazione negativa della condotta tenuta nei confronti degli utenti”.

Francamente – ed a prescindere da qualsivoglia considerazione giuridica che si fa persino fatica ad intessere in relazione a tale conclusione – trovo tale passaggio, pure determinante, contraddistinto da una buona dose di formalismo giuridico o se preferite “ipocrisia ideologica”: si può davvero ipotizzare che se Google nelle proprie condizioni generali di utilizzo del servizio avesse avvertito, in caratteri più grandi e magari in grassetto, una bambina di dodici anni dell’esigenza di assicurarsi il consenso al trattamento dei dati personali del bambino disabile protagonista del video caricato, questa vi avrebbe provveduto?

E sarebbe bastato così poco – secondo la rigorosa morale del Tribunale di Milano che pure traspare dall’intera Sentenza – per risparmiare l’onta di una condanna tanto pesante a quattro top manager di un colosso dell’informazione globale come Google?

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